Frammento di specchio e lacrima, Cesare Albertano
Che le grandi favole appartengano alla letteratura sapienziale non è una scoperta, ma ricordarlo non fa mai male, anche perché il fantastico e l’immaginario contemporaneo spesso sono stati ammantati da effetti speciali, da facili trucchi compositivi e blandi messaggi che stordiscono il lettore per poi subito rassicurarlo. E no, non funziona così, la favola con il suo obiettivo sapienziale deve impressionare, emozionare, far piangere e sorridere, ma soprattutto far pensare, anche a costo di condurci al limite dello smarrimento, perché il suo obiettivo è il perfezionamento interiore.
Della favola di Farid al-Din Attar, poeta sufi del XIII secolo, non dico nulla se non che si tratta di un viaggio allegorico della conoscenza del sé come tutti i racconti che siano degni della letteratura di valore, ma del Grande Teatro di Lido Adriano e del CISIM non si può tacere: è un luogo che nella sua multiculturalità rappresenta l’ambiente ideale per realizzare un’idea di cultura intesa come impollinazione continua, come ricerca di una convivenza quotidiana fatta di polifonie e diversità, dunque come laboratorio aperto a tutte le arti. Che emozione dà all’inizio sentir parlare così tante e diverse lingue! Che emozione dà osservare i movimenti di un centinaio di attori che coprono tutte le età dell’essere umano, tutti i generi possibili, tutti i caratteri immaginabili, tutti i difetti e i pregi, in una coralità che ben ci dovrebbe rappresentare! Che emozione dà l’intreccio di gesto coreografico, voce e musica che ritrovano così i loro caratteri originari! un caleidoscopio avvolgente proprio come una danza sufi.
Nel finale, quando una bambina di poco più di sei o sette anni ha posto di fronte a me un frammento di specchio, ho visto il mio volto in lacrime. Ti confesso che non mi ero mai visto piangere in vita mia, nel senso che non ho mai pianto allo specchio pur avendone fatto abbondante esperienza. E allora ho capito che avevo capito, che ero entrato in comunità con tutti quelli che erano presenti ieri sera, uniti nello stesso destino indicato dal poeta persiano di ottocento anni fa. E mi è sembrato improvvisamente chiaro il perché «Attar» in arabo-persiano significhi speziale, ovvero preparatore di rimedi con erbe mediche, dunque medico a tutti gli effetti dal quale ancora oggi siamo stati curati. Anche Dante apparteneva alla corporazione dei medici e degli speziali, anche la sua Comedia è terapeutica e non è certo la pietra miliare della destra italiana (che orrore! che ignoranza!).
Grazie Gigio e grazie a tutti voi, a tutto il popolo degli uccelli, alle voci narranti e cantanti, ai musicisti che hanno tenuto il ritmo contribuendo all’incantesimo creato in scena, all’energia di Lanfranco Vicari che ha officiato questo rito iniziatico e liberatorio a cui abbiamo partecipato. Per me tutto questo è CULTURA nel senso più nobile e oggi più che mai, di fronte alle pseudo culture delle “razze”, delle “etnie”, dei “ceppi”, solo questa strada ci potrà salvare.
E un grazie particolare a quell'angelo di sei anni che mi ha permesso di vedermi piangere a 68 anni!
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