Una manciata di recensioni e considerazioni sulla stagione dei teatri, Silvia Napoli, Il Manifesto
Tutto questo appare evidente nella realizzazione di quella che anche a distanza di qualche tempo mi appare come una esperienza multidirezionale, nel senso che esplora le infinite possibilità del basso, della verticalizzazione dell’intersezione di corpi, linguaggi, anime e generazioni che è stato il Bhagavad Gita, nella direzione artistica di Luigi Dadina e Lanfranco Vicari. Stiamo parlando di un testo sacro di 700 versi, parte del Mahabharata di cui si diceva. poema assurto a celebrità occidentale per via di un famoso spettacolo mondo da parte di Peter Brook e in seguito anche di una resa cinematografica non meno nota che vedeva protagonista il compianto Mezzogiorno. Il core del poema è rappresentato dal dialogo costante e incalzante tra il guerriero Arjuna, e il dio Krishna. I temi affrontati, al di là del complesso contesto familiare, tribale e dinastico sotteso ad una trama che definire intricata è usare sicuramente eufemismo, sono quelli eterni della responsabilità morale dell‘individuo in relazione alla collettività e delle sottili ma pregnanti distinzioni e considerazioni tra difesa, aggressione, non violenza, pacifismo, antimilitarismo, resistenza, guerriglia, guerra guerreggiata sul campo, sangue di innocenti comunque versato, destino e missione. Quanto sia lecito sottrarsi alle proprie responsabilità sociali e morali. Cosa significhi aderire al proprio posto nel mondo eppure esercitare critica…
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